In crisi di astinenza democratica

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16 risposte

  1. Mauro Poggi ha detto:

    Leggo ora e mi ritrovo completamente con la tua analisi. Ti segnalo il post che ho appena pubblicato, per le assonanze con questo:

    http://mauropoggi.wordpress.com/2012/08/18/la-democrazia-ai-tempi-dello-scudo-anti-spread/

  2. Luciano Del Vecchio ha detto:

    Grazie. Agghiacciante quanto scrive Scalfari sulla “Costituzione materiale”, ma ancor più agghiacciante Curzio Maltese e altri su Repubblica e il Sole24ore quando danno per scontato che tutti i prossimi governi nazionali non saranno governi, ma “governanze” tecniche. La “governanza” è il metodo che dalla economia finanzieri e burocrati globali hanno trasferito alla politica  per distruggere gli stati nazionali e le democrazie popolari. C’è da credere a Scalfari e a Maltese se è vero che in questi giorni sembra che Napolitano voglia anticipare le elezioni per aver libertà, prima che scada il suo mandato,  di nominare Monti “tecnico” a capo della prossima “governanza” o a suo successore al Colle.

  3. Emilio ha detto:

    Caro Luciano,
    ti ringrazio per l'articolo che condivido in toto.
    A proposito di Scalfari e Repubblica, posto di seguito un parere che, a mio avviso, svela molto bene l'origine ideologica ( e solo questa mi interessa focalizzare nell'ambito dell'articolo ) del loro agghiacciante e ripugnante progetto.
    Ciao, Emilio.
    —————————————————————————————————————–
    Il ritorno del partito anti-italiano
    di Massimo Introvigne
    12-10-2011

    C’è una categoria che non va di moda, ma che tuttavia il «politicamente corretto» non riesce a espellere totalmente dal linguaggio comune: il tradimento. Nonostante tutto, si continua a parlare di «tradimento» quando qualcuno si concede un’avventura amorosa che profana i vincoli del matrimonio. È paradossale, ma perfino sulla stampa più libertaria si ritrova ancora l’espressione secondo cui un tale – in genere, un esponente politico dello schieramento avverso – è stato sorpreso a «tradire» la moglie. Nell’immaginario collettivo non qualunque modifica di atteggiamento o di impegno è un tradimento. Lo è il venire meno agli obblighi nei confronti dei legami più forti e naturali: la famiglia, la religione, la patria.

    Quando i sociologi
    si occupavano ancora di legami naturali – penso, per fare un solo nome, a Fréderic Le Play (1806-1882) – si diceva che i vincoli che ci ripugna spezzare fanno tutti riferimento alla figura del padre: quel «pater» che è al centro della famiglia e il cui nome etimologicamente si ritrova nella patria e naturalmente nel Santo Padre, la persona a cui la fedeltà è sinonimo della fedeltà alla Chiesa. In un mondo in cui – come ha detto domenica il Papa in Calabria – « le persone sono immerse in una dimensione virtuale, a causa di messaggi audiovisivi che accompagnano la loro vita da mattina a sera», e questa fuga da tutti i legami reali «ha raggiunto un livello tale da far parlare di mutazione antropologica», resiste ancora – almeno, o specialmente, in Italia – la famiglia. Chi tradisce la moglie o il marito incorre ancora in un certo biasimo sociale, almeno fino a quando non istituzionalizza il tradimento con il divorzio e un nuovo matrimonio, che fanno magicamente sparire il biasimo.

    Ma abbiamo molta più difficoltà
    a continuare a percepire come tradimento il venire meno agli obblighi verso la Chiesa e la patria. La signora allegra che tradisce il «pater» e la famiglia sembra ancora a molti una poco di buono. Ma chi, pur dicendosi ancora cattolico, tradisce e offende il Santo Padre è presentato invece come un ribelle nobile e coraggioso. E di chi tradisce la patria si parla sempre più raramente. Eppure, esiste anche il tradimento della patria. E non si manifesta solo nelle forme dello spionaggio in tempo di pace e di guerra. La sua forma più insidiosa è la continua denigrazione della patria, che diventa anche sistematico appoggio alle manovre straniere piccole e grandi per indebolirla.

    Negli ultimi mesi la politica estera e quella economico-finanziaria internazionale hanno visto numerosi episodi di attacchi all’Italia – dal modo con cui è stata iniziata la guerra in Libia alla repentina vendita di titoli di Stato italiani da parte di banche che fanno capo a governi esteri in un mese in cui nel nostro Paese è tradizionalmente più difficile organizzare una rapida reazione, in agosto –, le cui ragioni sono diverse e complesse. Una – non l’unica – è l’avversione di Paesi che pure sono nostri alleati alla strategia italiana di creare, attraverso i rapporti privilegiati con la Russia e la Libia, un polo energetico alternativo a quello dominato dalle relazioni che le grandi società petrolifere americane e, in Europa, soprattutto la Francia intrattengono con altri Paesi arabi produttori di petrolio. La Bussola Quotidiana non ha fatto sconti alle reazioni inadeguate dell’attuale governo di centro-destra, che a tratti è sembrato perso soprattutto nelle sue risse interne, di fronte a questi attacchi.

    Ma che dire della sinistra, o di Repubblica? Qui ci si è trovati di fronti a personaggi per cui la lingua spagnola ha un epiteto più eloquente ancora di «traditore»: «vendepatria». Ogni volta che dall’estero sono venuti attacchi, la sinistra e i suoi giornali di riferimento li hanno amplificati e rilanciati, quando non li hanno anticipati, evocati e forse perfino organizzati. Il pretesto o la scusa è che questi attacchi all’Italia – se pure rischiano di rovinare centinaia di imprese e migliaia di famiglie – sono «buoni» perché permettono di liberarsi di Berlusconi, l’uomo del «bunga bunga» e delle escort.

    Anche qui senza sconti alla discutibile vita privata di Berlusconi – l’unica vita privata però che, grazie a centomila intercettazioni telefoniche, è diventata interamente pubblica, mentre di quella di tanti altri politici nazionali continuiamo a non sapere nulla – la circostanza che sbugiarda questo ragionamento è che gli attacchi all’attuale premier non sono cominciati con gli scandali dei «bunga bunga». Sono iniziati nel 1994, appena ha cominciato a fare politica. Basta andare in una biblioteca e consultare la collezione di Repubblica. E basta leggere gli attacchi dal 1994 a oggi per convincersi che quello che si rimprovera all’Italia è un «sottosviluppo» non solo economico ma culturale, i cui segnali che danno più fastidio non sono quelli del debito pubblico che aumenta ma quelli della fede cattolica che, nonostante tutto, tiene e della resistenza popolare e anche parlamentare e politica all’eutanasia, al matrimonio omosessuale, alla libertà totale della fecondazione artificiale, a leggi «contro l’omofobia» che in realtà colpirebbero chiunque osasse riproporre l’insegnamento della Chiesa secondo cui il comportamento omosessuale è oggettivamente disordinato.

    Anche qui la lettura di Repubblica è istruttiva: è questo che dà soprattutto fastidio, è questo il «sottosviluppo» italiano che deve essere rimosso, se del caso favorendo gli attacchi stranieri. Altro che «bunga bunga»! Come i lettori che ci seguono con pazienza già sanno, questo attacco viene da lontano. Non è cominciato con Berlusconi. Il filosofo Augusto Del Noce (1910-1989) parlava di un «partito anti-italiano» che nasce con il Risorgimento e diventa egemone nelle scuole e nelle università con Piero Gobetti (1901-1926) e poi con il gruppo che prenderà il nome di Partito d’Azione, con il quale la teoria che identifica il progresso economico e politico con il protestantesimo e l’arretratezza con il cattolicesimo che già da secoli i nemici della Chiesa e dell’Italia andavano sostenendo passa, per così dire, dall’utopia alla scienza.

    Il male dell’Italia – si ripete ancora una volta, ora con pretese «scientifiche», per quanto queste siano rapidamente demolite dagli storici dell’economia – consiste nel fatto che il nostro popolo ha rifiutato la Riforma protestante. L’ethos specifico dell’Italia – in quanto irrimediabilmente radicato nella tradizione cattolica e nello spirito della Controriforma, che ha sconfitto in Italia il protestantesimo – diventa così un’eredità negativa di cui, si dice, occorre liberarsi per avviare anche nel nostro Paese un processo di modernizzazione e di progresso, iniziato dal Risorgimento proprio in quanto laico e anticlericale e – in questo senso – autentica «rivoluzione contro la Controriforma» e versione italiana della Rivoluzione francese.

    Nasce qui – o si consolida, perché risale nelle sue radici già al Settecento – un partito anti-italiano, che chiede all’Italia di rinunciare al suo ethos tradizionale per non perseverare in una presunta condizione di arretratezza, d’inferiorità e di subordinazione rispetto alle nazioni protestanti, che sono proposte al contrario come modello. Il divorzio, l’aborto, la liberalizzazione di alcune droghe, la fecondazione artificiale senza limiti, il matrimonio omosessuale, l’eutanasia offrono solo versioni «aggiornate» della solita vulgata: l’Italia è arretrata rispetto alle nazioni «civili» dell’Europa protestante – e magari oggi anche a nazioni un tempo cattoliche i cui leader, come Zapatero, hanno «coraggiosamente» saputo rifiutare il cattolicesimo.

    Si tratta allora di «modernizzare» l’Italia a forza, se del caso facendosi aiutare dallo straniero più «civile» e protestante, come insegnano del resto il Risorgimento e i suoi rapporti non marginali con il generoso aiuto britannico prestato a chi promuoveva una certa idea dell’unità d’Italia. Chiunque si metta di mezzo – santo o peccatore non importa, e dunque l’arco è vasto, dal Papa a Berlusconi – dev’essere spazzato via. È perché è ideologicamente anti-italiano che un certo, vasto partito è intrinsecamente traditore e «vendepatria»: anzi – ed è peggio – non riesce neppure più a rendersi conto che la strada che ha intrapreso è quella del tradimento.
     
    http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-il-ritorno-del-partito-anti-italiano-3300.htm

  4. altrecorrispondenze ha detto:

    il concetto di tradimento lo lascerei proprio perdere

  5. Emilio ha detto:

    @ altrecorrispondenze
    non saprei come diversamente apostrofare quelli come Scalfari che disprezzano il Popolo e tutto ciò che non sia elitario. Questa borghesia progressista con la puzza sotto il naso che ha interessi e progetti che nulla hanno a che vedere con quelli della nazione e della patria.
    E sono sempre in combutta con un paese che ritengono più progredito e quindi in diritto di imporci dei vincoli.
    Ovviamente, per me, lo stesso vale per Monti & co, e per farmi cambiare idea dovresti dimostrarmi che quello che stanno facendo lo fanno, appunto, per l'Italia.
    Trovo comunque molto più incisivo il termine "vendepatria" : è lo stesso che impiegavano i peronisti verso quella stessa bastarda borghesia che voleva vendersi agli Stati Uniti.
    Saluti, Emilio.

  6. Luciano Del Vecchio ha detto:

    Forse in politica non esiste il tradimento, dato che si possono cambiare idee, convinzioni, interessi e progetti, e dunque anche adesioni a uomini o a gruppi. Ma riguardo l'appartenenza a un popolo, a una patria, a una identità, dimensioni pre-politiche, penso che, se rinnegate, si possa parlare senz'altro di tradimento. Considero l'attuale ceto politico come traditore, non  perché è andato oltre il trasformismo o il cambiar casacca; traditore perché non si identifica più con il popolo italiano, ma con centri di gestione di potere extranazionali da cui, tramite proconsoli insediati in cima allo Stato, viene garantito, compensato con privilegi e prebende: in sostanza una legione straniera "assoldata".   

  7. altrecorrispondenze ha detto:

    quando si parla di tradimento mi pare si parli di Giuda: qualcuno che prima condivideva con me idee e prassi e ora non solo ha cambiato opinione ma mi vende attivamente all'antico nemico comune.
    francamente questo discorso applicato a Scalfari o a Napolitano mi fa venire l'orticaria perchè presuppone che la sinistra progressista e il pci fossero  dalla mia parte, o -distintamente- da quella di Luciano. Direi invece che il codice progressista (comune ad entrambi questi personaggi)  inevitabilmente si sarebbe rivoltato in adesione tout court non tanto al progetto europeo, fattore secondario, ma al totalitarismo uiversalista ed astratto della valorizzazione della forma merce, l'unica che può esotericamente crescere all'infinito. per loro si tratta di rivolgimento dialettico, non di tradimento, cambio di casacca, trasformismo ecc.
    Trattare l'appartenenza ad un popolo o l'amor di patria come categorie pre-politiche è profondamente errato: sei ad un passo a farne categorie a-storiche. Che ogni individuo, non un Robinson, si determini in base a coordinate storico-territoriali è un conto, ma l'appartenenza identitaria non è affatto data a priori.
     
     Emilio, che se pubblica Introvigne si riconoscerà nel cattolicesimo tradizionalista, fa un discorso  più coerente -dal suo punto di vista, mi pare di poter interpretare- a proposito dei traditori vendepatria (il laicismo scalfariano è una delle peggiori merdacce che saturano il discorso pubblico italiano), anche se poi  dovrebbe trarre lustro dagli statisti democristiani (de gasperi, suppongo, che puntualmente trovò il suo rivoltamento dialettico in Andreotti) per ritrovare quella originaria purezza politica che oggi non trova.  mha, secondo me è sempre l'assoluto della forma merce che svuota le chiese, non certo Scalfari.

  8. stefano.dandrea ha detto:

    Altrecorrispondenze è in disaccordo con Luciano, perché nega il presupposto della qualifica di tradimento: l'essere "l'appartenenza a un popolo, a una patria, a una identità, dimensioni pre-politiche".

    Ora, l'appartenenza a un popolo e a una patria dipende da una qualifica giuridica, quindi da una norma giuridica e talvolta da un contegno negativo del soggetto (gli ordinamenti talvolta consentono di perdere la cittadinanza). In questo senso l'apparrentenza è frutto di un atto politico ma di un atto politico fondativo. Tradire il popolo al quale si appartiene è come tradire i genitori.

    Chi si vergogna della sua nazione (a parte che generalmente è un presuntuoso) è come chi si vergogna dei genitori magari alcolizzati cronici. Chi tradisce il proprio popolo è come chi tradisce i propri genitori (pensiamo a chi si accorda con un socio del padre per far fuori il padre da una società). La scelta europeista di taluni politici italiani oggettivamente svantaggia economicamente e culturalmente una percentuale enorme di italiani. Non è nemmeno una scelta di classe.

  9. tania ha detto:

    Credo che verrò bannata , ma ci provo
    @stefano.dandrea
    Wilhelm Reich – "Psicologia di massa del fascismo" – Einaudi 
    A pagina 52 inizia un paragrafo intitolato "Legame familiare e sentimenti nazionalistici" . Evito di copiarlo per questioni di tempo ( che non ho ) .
    Ma tu leggilo ( e vergognati )

  10. stefano.dandrea ha detto:

    Tania, non ti banno e osservo che non ho parlato di identità ma solo di patria e di popolo.

    Che cosa ho detto? Che io e te apparteniamo a un popolo, anche se non lo vogliamo. Non siamo noi a creare il legame e non sempre ci è concesso recidcerlo e quando lo si recide si perde la possibilità di vivere su un territorio. Questo è un fatto. Dovrebbero vergognarsi quelli che negano il fatto, i quali sono come coloro che negano che esista la luna o il sole: incapaci di intendere e di volere spesso presuntuosi.

    Insomma la cittadinanza è un dato della nostra vita e non la cambiamo con un semplice atto di volontà; esattamente come padre e madre, che sono quelli che sono. Questo è un altro fatto. La similitudine tra i due fatti è evidente e dovrebbe essere ammessa anche da coloro che hanno dispiacere che le cose stiano così e che vorrebbero scindersi liberamente dalla comunità alla quale appartengono (è il solito liberalismo-individualismo degli pseudocomunisti contemporanei).

    Non vedo per quale ragione chi prende atto che la realtà è questa e che è stata questa anche nei regimi socialisti e che è stata questa sia nei regimi liberali che in quelli fascisti e che è stata questa persino nei tempi che hanno preceduto le rivoluzioni francese, inglese e americana debba vergognarsi. E' chi nega la realtà che deve vergognarsi, quando pretende di comprenderla, confondendo sistematicamente desideri, utopia, realtà e in genere essere e dover essere (sempre soggettivo, peraltro)

  11. tania ha detto:

    In realtà il “liberal-individualismo” è alla base della tua di cultura , non della mia . E’ alla base dei legami famigliari tradizionali ( fulcro del nazionalismo fascistoide ) che tu hai esaltato sopra . Reich lo argomenta in maniera esaustiva ( se vuoi leggiti il libro ) . E il “terrritorio” non è un fatto , se mai lo è la “terra” . Il territorio è solo un’istituzione giuridica , che in quanto tale ha un carattere conservatore . Come lo è per definizione tutto il pensiero giuridico .

  12. ndr60 ha detto:

    Credo sia difficile esprimere in poche parole cosa vuol dire “sentirsi italiani” (o inglesi, francesi, spagnoli…) e si finirebbe per sembrare retorici o pieni di luoghi comuni. Penso tuttavia che una caratteristica distingua gli italiani da tutti gli altri, ovvero il sentirsi più appartenenti ad una fazione (una qualunque, potrebbe essere una squadra di calcio, un partito, un’associazione clericale o laica, ecc.) che all’intera nazione. E questo può essere sia un vantaggio che uno svantaggio, secondo le circostanze. Per quanto mi riguarda, per anni mi sono vergognato di essere italiano, quando come premier avevamo un clown miliardario che dava del kapò durante le sedute del parlamento europeo e quando accoglieva gli ospiti di riguardo nella sua villa si comportava come un imperatore romano. Me ne vergognavo anche prima, osservando l’inesistente senso civico di molte persone, il menefreghismo, la scarsa memoria storica.
    Per me l’Europa avrebbe potuto non dico guarire ma almeno attenuare questi nostri difetti atavici, oltre ad intervenire nel definire le esatte dimensioni dei pomodori e degli zucchini.  Il progetto della moneta unica è stato presentato dalle élite europee con entusiasmo, come il coronamento della UE. Certo, non è stata colpa di Bruxelles se in Italia i salari hanno praticamente dimezzato il proprio potere d’acquisto nel passaggio Lira-Euro: è stato solo dopo che è diventato chiaro a tutti che questa ridicola moneta aveva le caratteristiche ben riassunte da J. Attali:” Ma cosa crede, la plebaglia europea: che l’euro l'abbiamo creato per la loro felicità?”.
    L’unico obiettivo della “plebaglia europea” (cioè del 90% degli abitanti della UE) deve essere quello di contrapporsi al pensiero unico neo-liberista della tecnocrazia, cioè di coloro che – come in Italia – hanno scelto Monti come commissario straordinario per la liquidazione della nostra Costituzione.
     

  13. stefano.dandrea ha detto:

    Tania, adesso sveli il fondo anarchico, che certamente attinge all'idea più bella di individualismo. Ma l'individualista sei tu. Perché non sei statalista; e nemmeno accetti la nozione di popolo e di stato

    La terra è una cosa, non un fatto. Un fatto è un movimento corporeo, come l'introduzuone di una norma che definisca i confini di uno stato o di una che stabilisca che chi nasce su quel territorio e sia figlio di cittadino è cittadino.

    L'introduzione di questa norma è un fatto politico o no? Lo è certamente nella scelta del contenuto (e nella scelta delle varie forme di contemperamento tra diritto del suolo e diritto del sangue) e ho anche convenuto che si tratta di scelta politica fondamentale (anche se modificabile con legge ordinaria) ma non lo è nell'an. Uno stato senza una forma cittadinanza non può esistere e non è mai esistito, per ragioni logiche prima che giuridiche. Ciò non ha nulla a che fare con il fascismo. Vale per regimi monarchici, democratici, liberali, socialisti o fascisti.

    Non ho esaltato i legami famigliari tradizionali.  Ho espresso soltanto un giudizio di valore. Non bisogna vergognarsi dei genitori, nemmeno se sono alcolizzato cronici; ossia non bisogna vergognarsi per come sono. Ovvio che se tuo padre commette un omicidio lo puoi e spesso lo devi disprezzare.

    Il problema era se il popolo e la patria sono fenomeni politici o prepolitici. Io ho svolto un ragionamento volto ad argomentare che sono largamente prepolitici.

    Tu non riesci ad esprimere una sola frase dotata di senso, perché sei accecata da una inconsistente ideologia. I legami famigliari tradizionali sono il fulcro di centinaia di migliaia dottrine o stati o organizzazioni politiche antiche e moderne. Il fascismo è soltanto una tra le migliaia, diffuse in tutta la terra e in tutta la storia. 

    Detto ciò, l'amore per una compagna di vita, per un figlio, o per i genitori o per i fratelli, per come normalmente si esprime e per ciò che dà alla vita sociale (anche quando si manifesta in rapporti molto conflittuali), non ha bisogno di essere esaltato. Coloro che non ne riconoscono l'immane grandezza sono alcuni di coloro che sono stati sfortunati, i quali, essendone privi, per qualche ragione, finiscono per negarne l'esistenza o la grandiosità.

    Sul carattere conservatore delle istituzioni giuridiche dovrei solvolare; ma non sorvolo per cercare ancora di mostrarti quanto la tua ideologia ti porti a sostenere cose che non pensi. I decreti che Lenin prende dopo la rivoluzione avevano carattere conservatore? L'istituzione e la disciplina dei soviet aveva carattere conservatore? L'istituzione di un parlamento elettivo in italia ha avuto carattere conservatore? E la convocazione dell'assemblea costituente?

    Quanto al pensiero giuridico, un pensiero è in primo luogo rigoroso o non rigoroso. Se invece alludi alle valutazioni, allora è vero che il giurista interpreta disposizioni che esistono, ma interpretando concorre a creare le norme, che a rigore vengono fuori da un procedimento complesso che comprende l'interpretazione. Come interprete il giurista compie un puro atto di volizione, secondo il formalista Kelsen, e quindi, nei limiti consentitigli dall'esistenza di disposizioni che hanno una data struttura linguistica, può esprimere una valutazione progressista o conservatrice (non sarai mica una di quelle persone che pensano che a priori ogni valutazione progressista è preferibile a quella conservatrice, a prerscindere dalla specifica questione?). Spesso l'alternativa non è questa e è più tecnica. Ma spesso il giudizio è politico. Dunque, sia l'emanazione di norme, sia la loro interpretazione possono esprimere valutazioni conservatrici o meno.

  14. tania ha detto:

    @stefano.dandrea   Intanto quando mi rivolgo a te , io penso di rivolgermi ad una persona  che ( da quel poco che ho letto ) parla di statinazione che competono e di protezionismo . Quindi una razionalità perfattamente allineata all’empirismo inglese ( per intenderci  quello che comincia a delinearsi , grosso modo , con Locke ) , all’homo oeconomicus di Wlras e Pareto eccetera . Bene ( anzi male ) , ma a partire da questa razionalità , l’interventismo pubblico può essere solo WARfare , quinta essenza del libearilismo indivudualista .  E la famiglia è essenzialmente un’impresa economica  ( con tanto di principio del capo eccetera ) . Ora L’unità sostanziale tra l’ideologia familiare e quella nazionalistica è data dalla considerazione che entrambe sono delimitate e che entrambe sono afflitte da preoccupazioni materiali , economiche . E’ per questo che l’ideologia mistica che identifica la famiglia con la nazione riproduce contemporaneamente l’ideologia fascista del tipo “La Patria è la madre della tua vita … la Nazione ha bisogno di spazio e nutrimento”( Goebbels ) , “Chi tradisce il proprio popolo è come chi tradisce i propri genitori ..Gli Stati competono ” ( stefano.dandrea )
    PS : Ho sbagliato a scrivere “pensiero giuridico” perché è un ossimoro . I giuristi non pensano . I giuristi mobilitano un sapere , una conoscenza , mai un pensiero . ll sapere / la conoscenza del giurista è un’attività intellettuale regolata e vincolata da tutte le enciclopedie che ingombrano e forniscono il diritto . Il pensiero invece non è un’attività vincolata , è un’attività libera : che parte dalla conoscenza già data , ma per superarla , per andarle oltre e per abolire lo stato di cose presenti . Quando i giuristi pensano , non lo fanno nella loro veste di giuristi , ma in quella di filosofi , pensatori eccetera .

  15. stefano.dandrea ha detto:

    Tania, ho apprezzato molto la tua replica.

    Ciò che dici sui giuristi è sostanzialmente vero, nel senso che quando ragionano di diritto "ragionano", al più e secondo una logica tutta propria (in realtà ragionavano; ma è un altro discorso)- ma ho sopra cercato di spiegare che c'è uno spazion per valutazioni che si inseriscono in un pensiero.

    Però esiste una politica del diritto che è proponimento di un nuovo assetto normativo e di nuovi principi. Essa presuppone un pensiero, una valutazione e una scelta del criterio valutativo. Però è vero che quando il giurista fa politica del diritto (io, nel settore che ho scelto e nel mio piccolo tento di farlo) non è giurista. Quindi siamo sostanzialmente d'accordo.

    Pe quanto riguarda il primo profilo, osservo che la mistica di un oggetto non è l'oggetto. La mistica della patria e della famiglia, se è possibile (ma non ne conosco) è una cosa diversa dal patriottismo. Dire io sono italiano e i miei figli vivranno su questa terra e saranno soggetti agli istituti dell'ordinamento italiano e/o ho valori positivi che mi vengono dal passato che intendo perpetuare (assieme ad altri che invece intendo rimuovere) e perciò ho a cuore l'ordine giuridico italiano, questo è patriottismo. Dire io sono orgoglioso di essere italiano…, oppure gli italiani hanno sempre dimostrato ciò che sanno fare…oppure la storia degli italiani dimostra che essi sono destinati a dominare il mondo, questo è nazionalismo imperialistico; ed è fascismo e si accompagna alla mistica della patria.

    Anche per Marx l'uomo è un uomo che produce e non sono sicuro che l'ideale che doveva discendere dalla rivoluzione dovesse condurre all'annientamento della figura dell'uomo che produce. Perciò, francamente, considerare di destra chiunque si ponga in questa ottica e creda non più ripetibile l'ordine dei cacciatori raccoglitori, considerare di destra chi  ancora preferisce il dovere di lavorare sancito dalla nostra costituzione e dal punto n. 4 del programma de manifesto del partito comunista, mi sembra un grave errore. E' realismo che dovrebbe essere dato comune di chiunque voglia migliorare, secondo propri criteri, il lo stato di cose presenti.

  1. 2 Settembre 2012

    […] vuole essere un breve excursus antropologico nato da una rapida discussione avuta QUI con alcuni blogger di tendenza sovranista che davano per acquisiti e naturali (pre-politici […]

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