Università e mercato del lavoro: quello che Feltri non dice

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7 risposte

  1. Cesco ha detto:

    A me S. Feltri ha sempre dato l’idea di avere un livello culturale basso, diciamo di poco superiore a quello di Renzi. Quindi credo sia utile leggere solo le sue cronache non certo i suoi editoriali.

  2. Paolo Di Remigio ha detto:

    Ogni articolo di giornale ripropone la logica della teodicea: nel mondo c’è il male; ma Dio che l’ha creato è bene; dunque ci deve essere un punto corrotto nel mondo che produce il male vanificando l’intenzione divina. L’attuale teodicea non si preoccupa della reputazione di Dio, ma di quella del mercato: nell’economia c’è la crisi; ma i mercati che la governano sono efficienti; dunque deve esserci un punto debole nell’economia che li vanifica, e ogni articolo di giornale, facendo violenza ai dati e alla teoria, individua questo punto debole di volta in volta nella nostra pigrizia, nella nostra rigidità, nelle nostre pretese eccessive, nella nostra corruzione, nel nostro cinismo, nella nostra avidità di piaceri. Invece della scienza il moralismo. La polemica contro il sapere umanistico rientra nella condanna dei piaceri: come per ogni moralismo, sua base inconfessata è l’invidia di chi, insensibile al fascino della matematica, vi si è obbligato e non tollera che qualcuno possa godere con le poesie e addirittura rendersi utile alla società così da trarne di che vivere.

  3. Matteo ha detto:

    Sono perfettamente d’accordo con lei.
    E lo dico da uomo di scienza, da sempre affascinato dalla scienza e che ha fatto una università a carattere estremamente tecnico.
    Ma la cultura umanistica è imprescindibile, anche perché i tecnici puri (e li ho trovati soprattutto negli ambiti meno astratti della mia branca) sono umanamente deleteri.

  4. mezzo pensante ha detto:

    vado sul pragmatico: il problema è che i laureati italiani, per la società che i nostri governanti vogliono, sono TROPPI. non troppo pochi.

    diciamocelo: il 90% dei laureati di oggi farà e fa lavori per cui non era assolutamente necessario studiare 5 anni. siamo quasi tutti overqualificati.

    e dunque, visto che il Paese deve diventare una gigantesca “fabbrica-cacciavite” per prodotti a basso contenuto d’innovazione, con poca cultura e a basso reddito, i laureati devono diminuire.

    questo è il risultato della logica del “adattiamo l’università al mondo del lavoro (privato oligopolistico e della rendita aggiungo io)”.
    Una classe dirigente seria metterebbe in moto un gigantesco piano di investimento per sfruttare le risorse che escono dalle nostre università…che miracolosamente sono ancora a buon livello pur essendo le meno finanziate dell’intero mondo occidentale.

  5. Lorenzo ha detto:

    Una “classe dirigente seria” potrebbe fare ben poco per sfruttare le risorse che escono dalle università. Il problema è la globalizzazione che – come esattamente predetto 25 anni fa poche voci di buon senso inascoltate – ha indotto la delocalizzazione di gran parte delle professioni ad alto reddito aggiunto. Quelle per le quali è necessaria la laurea.

    Uno delle balle più colossali dell’immaginario liberista è l’idea che il rimedio per la disoccupazione sia l’istruzione. L’istruzione è puro tempo perso se i lavori che rimangono sono quelli che non si possono delocalizzare in quanto manuali: il barbiere, l’idraulico, la badante ecc.

    Quando poi si fanno entrare milioni di disperati dal terzo mondo predisposti a fare proprio quei mestieri per un tozzo di pane, la spoliazione del popolo lavoratore è completa, e rimane solo la soddisfazione di assistere alla rovina del gregge che per decenni ha pensato al telefonino firmato e si è formato politicamente sulle dispute televisive fra faccioni contrapposti.

    • Marco C. ha detto:

      L’immaginario liberista contrasta con tutte le sue forze corrette politiche sull’Istruzione. I lavori più volatili e sottoposti alla delocalizzazione sono quelli a basso livello tecnologico e formativo.
      Si delocalizzano le fabbriche nelle produzioni a ridotto indice tecnologico dove la manodopera costa 3/4 di meno. Molte aziende che negli ultimi dieci anni hanno delocalizzato ora hanno riaperto in Italia dopo anni di disoccupazione ricattatoria (ed infatti hanno ottenuto dai lavoratori dei salari ridotti anche del 30%). Il problema è nella gestione della politica industriale: l’Italia l’ha totalmente delegata ai Privati. Ed i privati producono manufatti che necessitano manualità ed una semplicissima ed elementare formazione. Se inizi a fare impresa sfruttando tecnologie ed innovazione non potrai mai delocalizzare: dovrai inseguire lavoratori con alta formazione.

  6. mezzo pensante ha detto:

    una classe dirigente seria farebbe uscire il proprio paese dalle regole della globalizzazione.

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